L’Osservatorio: pubblichiamo un contributo di Daniele Barbieri.Lo facciamo senza aver letto per motivi di tempo il libro in questione,ma conosciamo al storia dei protagonisti di quella lunga indagine,l’impegno personale e i rischi corsi nello scavare le pieghe dello stragismo “nero”. Diamo spazio perciò senza esitazioni all’incazzatura di Daniele, “per sempre,uno di noi”
12 DICEMBRE 1969 (E NON SOLO): «AVEVAMO RAGIONE NOI»
28 Giugno 2019 di db (cioè Daniele Barbieri)
A proposito del libro «Storia della “Strage di Stato”» di Aldo Giannuli: inspiegabile ma soprattutto offensivo verso compagne e compagni della controinformazione
Quattro giorni fa c’era (tra i commenti della “bottega”) questo messaggio, firmato Paolo Brini.
«Ciao Daniele, vagando per la Feltrinelli l’altro giorno mi sono imbattuto in un libro dal titolo “Storia della Strage di Stato” di un certo Aldo Giannuli (che per mia ignoranza non conoscevo). Dalla quarta di copertina parrebbe una ricerca molto ambiziosa in cui l’autore “riprende in mano quel libro e ci offre una straordinaria inchiesta sull’inchiesta, con tutta la passione e la competenza del ricercatore che proprio allora iniziò a investigare nei meandri più oscuri della nostra Repubblica. Con la consueta acribia, Giannuli esamina La strage di Stato, con le sue rivelazioni e i suoi errori ecc.”. Tu Daniele, che a quel libro desti un importante contributo, cosa ne pensi? E’ all’altezza della quarta? A quali errori si riferisce? Se ha scritto castronerie pensi sia il caso di rispondergli nella maniera più circostanziata possibile come di tua abitudine, soprattutto per educare le nuove generazioni alla verità storica del proletariato senza lasciarla in mano alla classe dominante? Attendo fiducioso».
Ed ecco la mia risposta (sempre fra i commenti).
«ciao Paolo, grazie della richiesta e della fiducia. La questione è complessa e dunque mi prendo un paio di giorni per leggere il libro di Giannuli (che ho solo “guarducchiato” in libreria) e poi tirar fuori una risposta sensata. Intanto un’estrema sintesi: rubo tre slogan ai protagonisti di un fumetto (su testo di Gianfranco Manfredi) che è arrivato in edicola, come ho segnalato qualche giorno fa. “VALPREDA E’ INNOCENTE” – “PINELLI ASSASSINATO” – “LA STRAGE E’ DI STATO”. Questo è l’essenziale, come qui (in molte/i) abbiamo scritto. Ma proverò a meglio risponderti entrando nel merito della controinchiesta e dei suoi “critici”».
Ho mantenuto la promessa fatta a Paolo e ho letto tutto il libro di Giannuli. Mi ha lasciato stupefatto (non ne capisco il senso) e mi ha fatto incazzare (per le sue insinuazioni).
Provo a spiegare perchè. Scusate se sarò lungo ma lo devo a Paolo – “operaiaccio” e voce della «Banda POPolare dell’Emilia Rossa» e soprattutto compagno – che mi ha invitato allla chiarezza.
Per il suo libro Aldo Giannuli ha scelto questo sottotitolo: «Piazza Fontana: la strana vicenda di un libro e di un attentato». Curioso rovesciamento storico: la strage dovrebbe venir prima, in ogni senso. Ma – chissà perchè – a Giannuli interessa parlare soprattutto delle “stranezze” del libro.
Giannuli martella di critiche la controichiesta «La strage di Stato» (d’ora in poi siglo anche «Sds» per non farla lunga): analisi «approssimativa» e «lettura per certi versi semplicistica e non priva di eccessi ideologici, forzature e schematismi» (pagina 11); «gli errori, le approssimazioni disinvolte, le imprecisioni e soprattutto le lacune» (pag 41): ancora «omissioni» (42) e poi «la storia ha dato ragione al libro…» ma subito la stoccata: «il che non vuol dire che siano mancati limiti, errori o imprecisioni anche in questa parte del libro». E così via, sino alla fine.
Opinioni. Abbastanza incomprensibili per me (ma io ovviamente “valgo uno”). E vabbuò, fosse tutto qui non avrei fatto la fatica di leggermi tutto ‘sto libro e di “tediarvi” adesso con questo post.
Sono opinioni che valgono come le mie. A esempio per me questo libro è noioso e in certi passaggi monomaniacale: un conto è essere uno storico preciso e citare più documenti possibili, altro conto è dare a ogni foglio (dei “servizi segreti” italiani poi, cioè una banda di cialtroni persino sotto il profilo burocratico) un valore. Mi viene in mente la vecchia battuta su quello studioso che aveva passato tutta la vita per documentare che l’Odissea non era stata scritta da Omero ma da altro greco che si chiamava come lui. Si può spendere meglio il proprio tempo.
Quel che invece mi ha fatto incazzare sono le insinuazioni di Giannuli: accuse sempre sfumate (visto che non esistono fatti a sostegno) ma ripetute e pesanti.
Tipo.
Parlando di UAARR (cioè l’Ufficio Affari Riservati del ministero dell’Interno) Giannuli scrive a pagina 54: «quello che inquietava … era cosa altro sapessero gli estensori del libro, e da chi lo avessero appreso, sospettando, non ingiustamente, qualche contributo dai cugini del SID», cioè di altri e “concorrenti” servizi segreti «Non ingiustamente». Ci si aspetta una prova. Non c’è. Ma insiste Giannuli. In un paragrafo intitolato «Le notizie del diavolo» dopo aver accennato a un forum (18 anni dopo!) critico sul libro scrive: «Si formavano così due tesi estreme: per la prima il libro fu ispirato in gran parte dal SID, passando notizie agli autori, forse inconsapevoli della loro effettiva provenienza; per la seconda La strage di Stato fu opera di un gruppo di militanti della sinistra extraparlamentare senza alcuna influenza, diretta o indiretta, di alcun servizio segreto» (pagg 64-65). Io che sono un ingenuo, sapendo che Giannuli ha fama di persona seria, mi aspettavo qui che lui spiegasse i buoni motivi per sposare la seconda tesi. Invece (si) risponde così: «Entrambe le tesi non convincono». E giù spiegazioni che, secondo me, proprio nulla spiegano.
Dunque qualcosa di davvero strano c’è secondo Giannuli: né extraparlamentari «senza alcuna influenza» né passacarte del SID; ma una via di mezzo. Se io fossi a cena con Giannuli (mai avuto questo piacere finora) gli direi: «ma ti sei bevuto il cervello?». Anche nella “Conclusione” (pag 141) Giannuli usa il bastone e la carota, insinua e poi ritratta, persino nella stessa frase. «Presentare tutto il libro come un depistaggio, quasi che gli autori si siano prestati a trasferire le veline del SID nel loro libro è un giudizio sbagliato e ingeneroso». Deduco: tutto il libro no, solo un pezzo. Lo ripeto: “Giannuli, ti sei fuso il cervello”.
La chiuderei qui ma ci sono due passaggi più “politici” che forse mi (ci) aiutano a capire perchè Giannuli, considerato da molti uno studioso serio, abbia costruito questo castello di carte; e se non il perchè almeno il suo metodo, mooooolto approssimativo.
Il primo passaggio è sempre nella “Conclusione” (pag 138) dove Giannuli riassume «i punti deboli» del libro.
Cito per intero: «a. L’individuazione di AN come esecutrice principale della giornata del 12 dicembre. b. il teorema della “regia unica” che metteva nella stessa catena di comando SID e UAARR, MSI e partiti di centro, AN e ON eccetera e tutti docilmente sotto gli ordini degli americani» c. l’idea che gli americani e ceti imprenditoriali stessero optando per il colpo di stato fascista».
Preciso per i “meno esperti” che MSI era il partito di estrema destra in Parlamento, mentre AN cioè Avanguardia Nazionale e ON cioè Ordine Nuovo erano gruppetti fascisti concorrenti. I «ceti imprenditoriali» sono invece i padroni. Per altri chiarimenti storici in coda a questo post trovate alcuni link ad articoli apparsi in “bottega”.
Questa valutazione sui “punti deboli” si presta naturalmente a molte discussioni e contestualizzaioni. Ma ciò che mi colpisce (conoscendo bene «La strage di Stato» e avendolo comunque riletto – 99esima volta? chissà – per l’occasione) è che nel nostro libro non c’è quello schematismo che Giannuli sostiene. Per fare un solo esempio, riguardo ai punti b e c, si legga questo discorso politico, ben più articolato, nel paragrafo intitolato “La strategia della tensione” .
Preciso per i pignoli che il brano a seguire era alle pagg 112e 113 della prima edizione; qui – come accadrà anche in seguito- le parti tagliate sono indicate con (…) ovvero i classici tre puntini fra parentesi.
«Agli inizi del 1968, la situazione economica italiana è caratterizzata, grosso modo, da un contrasto tra le linee di tendenza del capitale monopolistico (…) e le linee di tendenza della media e piccola industria (…). Le elezioni politiche del 19 maggio 1968, che ratificano la crisi del centrosinistra e della politica di contenimento delle tensioni di classe, aprono, in prospettiva, una fase di alleanza obiettiva tra le forze più avanzate del grande capitale e le organizzazioni tradizionali del movimento operaio (…) Ma il disegno riformistico, con l’esigenza di un pur timido neutralismo che esso comporta, urta irrimediabilmete contro le necessità strategico-militari dell’ imperialismo americano».
Selezionando e omettendo, tutto si può stravolgere. Non che il collettivo di «Sds» fosse privo di limiti (anche nell’analisi) per carità, ma tanto sprovveduti come vorrebbe Giannuli no; non eravamo così. E il nostro libro lo dimostra, a saperlo leggere (e contestualizzare, come è ovvio, quasi 50 anni dopo).
Il secondo passaggio – che mi interessa per chiudere il discorso – invece è a pag 59 e concerne la questione dell’«anonimato» e del perchè gli autori (e le autrici, se vogliamo parlar corretto) lo mantennero anche tanti anni dopo, abbandonandolo solo per tre persone e cioè dopo la morte di Marco Ligini, di Eduardo Di Giovanni e poi di Edgardo Pellegrini per riconoscere i loro meriti nella controinchiesta.
Scrive Giannuli: «Poco dopo Di Giovanni mi concedeva una lunga intervista (…) Al centro vi era il gruppo romano di 4 persone (Ligini, lo stesso Di Giovanni e altri due di cui ancora taceva il nome)… a Milano c’era il gruppo che si occupava del caso Pinelli (…) L’anello più “esterno” era composto da centinaia di militanti che rastrellavano tutte le notizie possibili. Di Giovanni giustificò il silenzio sugli altri due membri del gruppo centrale come un “anonimato di modestia”: evitare l’appropriazione indebita del lavoro militante di centinaia di persone da parte di chi, quasi occasionalmente, aveva avuto il compito della stesura definitiva (confesso che la spiegazione non mi convinse per niente)».
Non stento a credere che l’«anonimato di modestia» e il rispetto per il lavoro di centinaia di militanti siano poco convincenti per Giannuli come per mooooolti altri giornalisti e/o storici, abituati a lavorare da soli e/o a sfruttare il lavoro altrui. Ma è così. E questo è, per me, un altro grande pregio di quella controinchiesta: essere stato davvero un lavoro collettivo. Una spiegazione semplice ma che risulta incomprensibile per chi pensa, a esempio, che a fare la Storia (s maiuscola) siano solo gli apparati dello Stato in lotta fra loro.
Se credete potete fermarvi qui (a leggermi). Ovviamente il mio consiglio è di non buttare 13 euri per questo libro di Giannuli, ma:
di leggere «La strage di Stato» (ristampato da Odradek) o rileggerlo se lo avete dimenticato; con i suoi difetti è sempre un gran libro
se sul 12 dicembre sapete “tutto” magari vedete come ci si può occupare seriamente dei neonazifascisti, quelli purtroppo temporalmente più vicini a noi; e qui in “bottega” ci sono molti bei testi e rimandi (soprattutto a Saverio Ferrari, al collettivo Wu Ming e ora anche al neonato Osservatorio sul fascismo di Roma).
Se non vi siete fermati a leggere… ecco qualche altra considerazione più politica e/o esistenziale; forse a 70 anni tocca farlo, pur se non si vorrebbe. Comunque se arrivate in fondo capirete meglio anche il titolo di questo post.
Sulla questione dell’«anonimi compagni», che taaaaaaaaaaaaaanto preoccupa o scandalizza Giannuli e altri, mi citerò (anche questo a volte tocca farlo). Nella edizione di «Sds» ristampata – il 12 dicembre 1993 – con il settimanale «Avvenimenti» per la prima volta comparvero in copertina i nomi di Eduardo e Marco (che purtroppo erano morti) seguiti da «e tanti altri compagni e compagne». Lì alcune compagne e compagni del vecchio collettivo scrissero brevi note. Allora nella redazione di «Avvenimenti» c’era Edgardo Pellegrini che nel riunirci (dopo tanti anni) ci chiese di firmarle e noi, più o meno malvolentieri, lo facemmo. Malvolentieri anche perchè – rubo le parole a Sarina Aletta, la “poetessa” del gruppo – «nel regno dell’avere, al tempo dell’ufficializzazione del nulla, chi aspira a essere non può che essere clandestino».
In una breve prefazione intitolata «Anonimi compagni…» io ricordavo, fa l’altro, il senso del nostro collettivo e del nostro essere extraparlamentari. Scrivevo fra l’altro: «Noi continuiamo insomma a non avere nessuna fiducia nell’organizzazione denominata Stato». Poi concludevo così. «Se esistesse, in questo Paese, l’esercizio della memoria, le verità di La strage di Stato tornerebbero utili anche oggi, in tempo di partiti allo sfascio, di putridumi finalmente svelati, di trucchi trasformistici. Ma soprattutto servirebbe oggi riprendere quel metodo della controinformazione di massa, militante che permise a migliaia di persone di ricercare, scoprire, diffondere verità politiche (ma anche culturali e scientifiche: basti pensare a tutto il lavoro sulla nocività nei posti di lavoro compiuto da Giulio Maccaccaro, Laura Conti, Neva Maffi e dai primi Consigli) in alternativa alla propaganda di Stato. Noi continuiamo a credere in questo. Qualcuno dirà che è la sindrome di Don Chisciotte che scambiava i mulini a vento per giganti. Dopo tanti orrori siamo però sempre più convinti che il vero pericolo non sia il donchisciottismo ma il sanciopanzismo: ovvero vedere mulini a vento anche quando i giganti ci sono».
Nell’edizione Odradek per il trentennale di «Sds» c’è anche una nota, firmata «Un gruppo dei compagni/compagne che indagarono e scrissero 30 anni fa per smascherare la strage di Stato» che si conclude così.
«Ci sentiamo di sottoscrivere quanto, nel ’95, scrisse un “pazzo” compagno statunitense, Abbie Hoffman, in prima fila nel movimento degli anni ’60 e ‘ 70. “Certo eravamo giovani / eravamo arroganti / eravamo ridicoli / eravamo eccessivi / eravamo avventati / eravamo sciocchi / ma avevamo ragione noi».
Eravamo giovani, frettolosi e a volte arroganti ma – lo ridico e non solo a Giannuli – anche su Valpreda, Pinelli e lo Stato stragista «avevamo ragione noi».
IN “BOTTEGA” potete trovare molti post sulla strage di piazza Fontana e intorno alla ragnatela che fu tessuta da chi volle quei morti. Ne segnalo alcuni: intanto 12 dicembre 1969: una «scor-data» per piazza Fontana… di db e Antonio Fantozzi, poi La via verso Piazza Fontana e «L’uomo scompare la mattina di Natale 1969 a Roma…» (entrambi di Saverio Ferrari e con altri rimandi) ma anche Una «scor-data»: 15 dicembre 1969, Giuseppe Pinelli… (di Mark Adin).
PS PER FATTO PERSONALE MA CHE POTETE SALTARE (poi comunque è finito, lo giuro)
E’ curioso: amo parlare di «La strage di Stato» e odio parlarne. Provo velocemente a spiegarmi.
Perchè mi piace parlarne è forse abbastanza ovvio.
è un libro storicamente importante e io credo nell’importanza (e nei limiti, certamente) della “memoria collettiva”
ho preso parte alla sua realizzazione e non me ne pento, anzi. Nella mia vita lunghetta spesso mi son detto “db, dovresti ricominciare da zero” ma poi ho pensato a «Ricomincio da tre», il film di Troisi. Quando ho dovuto ricominciare c’erano almeno tre punti fermi da tenere: uno è aver lavorato alla controinchiesta che divenne «Sds» (La strage di Stato).
Perchè odio (a volte) parlarne è forse meno ovvio.
Dopo «Sds» per un certo periodo della mia vita ho voluto/dovuto studiare i neofascisti, scrivendo anche un libro («Agenda nera») che fu pubblicato nel 1976. Un mal di stomaco permanente che ho volentieri interrotto per occuparmi d’altro. E avendo smesso di studiare non ho particolari titoli per parlare (intendo pubblicamente) di ciò che i “nuovi” fascisti combinano oggi, eppure mi vien spesso chiesto un parere. Che palle: studiate voi o chiedete a chi è bravo. Abbiate pietà del mio stomaco…
C’è chi vive incatenato al proprio passato (per mille motivi a partire dal fatto che essere giovani è bellissimo… soprattutto nei ricordi di chi oggi è vecchietto) e per la mia generazione contribuisce l’aver attraversato un passaggio storico davvero straordinario. Io però credo che non si possa vivere – umanamente e politicamente – di “allori” e di ricordi. Perciò fatemi parlare d’altro, fatemi essere parte (piccola, per carità) di quel che si muove contro l’orribile «stato delle cose» in cui viviamo. Hasta la victoria siempre.