Area 121 a Ostia : emergenza abitativa di chi ? Parte terza

AREA 121 A OSTIA: EMERGENZA ABITATIVA DI CHI? (Parte terza)

L’Osservatorio: nel 2019 CasaPound inizia ad accusare i primi segnali di crisi; a Casal bruciato intervengono per bloccare l’assegnazione di una casa ad una famiglia rom, ma questa volta le cose non vanno nella solita maniera. L’azione squadrista, come già accaduto a Torre Maura poche settimane prima, trova l’opposizione di una buona parte della gente del quartiere che finalmente trova il coraggio di non voltarsi dall’altra parte ed anche del Comune di Roma che, con la Sindaca Raggi, si presenta a Casal bruciato.

lo stabile occupato di via Napoleone III dopo la rimozione della scritta

 

Su questo avvenimento e sui precedenti riportiamo stralci di un articolo comparso su Internazionale il 10 maggio 2019 a firma di Annalisa Camilli:

https://www.internazionale.it/reportage/annalisa-camilli/2019/05/10/rom-casa-pound-casal-bruciato

“Sono stanca, da giorni non dormo, sono spaventata, esausta. Come possiamo resistere in questo modo? Ho rivisto i miei figli dopo giorni”. Senada Sejdović è circondata da quattro dei suoi figli nell’appartamento di via Sebastiano Satta, a Casal Bruciato, dove è barricata dopo essere stata aggredita da un gruppo di militanti di CasaPound, che le hanno gridato: “Troia, puttana, fai schifo”.  Uno è arrivato a minacciarla di stupro, mentre lei terrorizzata teneva in braccio sua figlia più piccola che ha tre anni. La bimba sembra più tranquilla mentre corre in giro nella casa, ancora senza mobili. Gli agenti della polizia piantonano l’androne del palazzo per proteggere la famiglia, legittima assegnataria di una casa popolare in un complesso di palazzoni a ridosso della via Tiburtina. Il gazebo di CasaPound che era stato montato vicino al portone è stato smontato, dopo le proteste del corteo antifascista che l’8 maggio ha sfilato lungo le vie di Casal Bruciato con gli slogan: “Fuori i fascisti dai quartieri” e “Giù le mani dalle case popolari”, mentre ai militanti di CasaPound è stato autorizzato un picchetto proprio davanti all’ingresso del palazzo in cui vive la famiglia rom.”

“In questi giorni sono venuti a fargli visita in tanti: dalla sindaca Virginia Raggi, che è stata aggredita dai residenti, al vescovo ausiliario di Roma Gianpiero Palmieri. “Qui è in gioco la nostra umanità, si sta cercando di mandare via queste persone per fame”, ha detto Palmieri lasciando l’appartamento degli Omerović. La spesa a casa di Imer e Senada per qualche giorno l’ha portata un agente dei vigili urbani che l’ha pagata di tasca sua, poi diverse associazioni romane si sono mobilitate per dare assistenza. Alberto Campailla dell’associazione Nonna Roma si sta occupando di raccogliere beni di prima necessità: “Abbiamo fatto i turni per proteggerli, abbiamo portato il cibo, ora gli stiamo portando anche i letti, il mobilio, perché la casa è vuota e ancora senza elettricità”. Campailla – che da due anni è impegnato nel progetto di Nonna Roma contro la povertà e la disuguaglianza – è convinto che nella capitale, anche nei quartieri più periferici, si muova una rete di persone e associazioni solidali. “Non è vero che è tutto morto, c’è una rete di persone e associazioni che in questi quartieri si muovono e fanno attività di sostegno alle persone più svantaggiate, anche se il clima è profondamente cambiato nella città e nel paese”. L’8 maggio associazioni e organizzazioni antifasciste hanno convocato una manifestazione in solidarietà con la famiglia, che è diventata un corteo che ha sfilato per le strade di Casal Bruciato, un quartiere popolare attraversato negli anni settanta da diverse lotte per la casa.”

                                                                                “Risulta inspiegabile l’atteggiamento delle forze dell’ordine che, non intervenendo tempestivamente e nemmeno in seguito alle evidenti violazioni di CasaPound, hanno reso possibile ai loro esponenti di agire indisturbati per più di due giorni. Quelle stesse forze dell’ordine che, in tenuta antisommossa, hanno ostacolato gli attivisti e i cittadini per dimostrare tutta la loro solidarietà alla famiglia colpita”, scrivono le associazioni nel loro comunicato.”

L’Osservatorio: d’altronde, dopo il tonfo elettorale dell’anno precedente, nonostante lo sguardo benevolo del ministro dell’interno del governo giallo-verde sulle ripetute azioni squadriste, le quotazioni dei fascisti del terzo millennio sono in ribasso ed iniziano ad essere al centro  di indagini giudiziarie ed anche il loro feudo di Via Napoleone III sembra essere meno intoccabile.

Infatti oltre alle indagini che coinvolgono CasaPound per azioni squadriste (qui ne riportiamo solo alcune)

https://roma.fanpage.it/aggressione-cinema-america-chi-sono-i-militanti-di-casapound-e-blocco-studentesco-denunciati/

https://www.area-c.it/casapound-frosinone-indagini-e-perquisizioni-nel-capoluogo/

https://www.bariviva.it/notizie/aggressione-al-corteo-antifascista-concluse-le-indagini-su-28-militanti-di-casapound/

ce ne sono altre che sicuramente turbano i sonni dei dirigenti di Casapound, quelle avviate dalla magistratura di Roma a seguito di questo articolo a firma di Andrea Palladino ed Andrea Ornago del 1° marzo 2018 pubblicato sul sito de “l’Espresso”:

https://espresso.repubblica.it/attualita/2018/02/27/news/i-camerati-abusivi-di-casapound-parenti-e-amici-vivono-gratis-nel-centro-di-roma-1.318675

dal medesimo articolo :

“Grand Hotel CasaPound. Nel cuore della capitale, con vista sulle cupole della basilica di Santa Maria Maggiore, la stazione Termini dietro l’angolo. Loro, i fascisti del terzo millennio che puntano a portare “guerrieri” in Parlamento, la chiamano «ambasciata d’Italia nel quartiere multietnico della capitale». Ma il palazzo sede ufficiale di CasaPound è un edificio pubblico occupato senza titolo dal 27 dicembre 2003. In più di quattordici anni neanche un tentativo di sgombero. E non si tratta di un appartamentino popolare in uno dei quartieri periferici, là dove il partito di Simone Di Stefano punta a raccogliere consensi alle prossime elezioni. Si tratta invece di sessanta vani, almeno una ventina di appartamenti in una zona dove i prezzi di mercato sono tra i più alti di Roma. Sei piani, una quarantina di finestre con affaccio sulla centralissima via Napoleone III, una terrazza con vista mozzafiato. Una sala per gli incontri politici all’ultimo piano dove ospitare presentazione di libri, conferenze stampa e confronti in diretta streaming con le star del giornalismo.  Il Grand Hotel dei neofascisti non ha prezzi popolari. «Un appartamento normale per una famiglia con due camere da letto in via Napoleone III? Non meno di 1.100 euro al mese», spiega all’Espresso una agenzia immobiliare di piazza Vittorio. Un valore sul mercato degli affitti di circa 25 mila euro al mese – includendo anche gli spazi per le iniziative politiche – 300 mila all’anno, più di quattro milioni nei 14 anni di occupazione abusiva. Soldi che ha perso il Demanio, ovvero lo Stato, proprietario dell’immobile.

Il Comune di Roma nel 2007 aveva inserito il palazzo in una lista di occupazioni da parte di famiglie in emergenza abitativa. Nell’aprile del 2016 il commissario straordinario Francesco Tronca aveva compilato una shortlist di 16 immobili da sgomberare, rispetto ai quasi cento edifici occupati abusivamente nella capitale. La sede di CasaPound, però, era inclusa in una più ampia lista, non interessata in quel momento da operazioni di sgombero. La decisione su questi altri immobili era rinviata a «successivi provvedimenti». Da allora nulla è accaduto, qui. Il Comune di Roma non ha fatto nulla: «Non è mai stato realizzato un censimento delle famiglie che abitano in via Napoleone III», spiegano gli uffici capitolini, che aggiungono: «Nessuno ce lo ha richiesto». Censire le famiglie, individuando le fragilità sociali, è l’atto che normalmente la Prefettura chiede prima di liberare un edificio occupato. Passaggio necessario, soprattutto dopo l’ultima circolare del Ministero dell’Interno che impone ai Comuni di trovare soluzioni abitative per le famiglie obbligate a lasciare uno stabile occupato. Ma nel caso di CasaPound nessuno sa chi vive nell’edificio nel quartiere dell’Esquilino. E nessuno sa se qui abbiano preso casa famiglie veramente in stato di bisogno. Quell’edificio è un’isola abusiva di fatto sconosciuta, mai censita. Invisibile, tanto da essere stata curiosamente esclusa, nel 2010, dalla mappatura degli edifici occupati abusivamente compilata dalla Commissione sicurezza di Roma Capitale, all’epoca della giunta guidata da Gianni Alemanno.

Abusivi, ma “per necessità”, sostengono da sempre i militanti della tartaruga frecciata. È così?  All’Espresso risultano residenti nel palazzo occupato i vertici nazionali dell’organizzazione di estrema destra. A partire dal candidato premier Simone Di Stefano, che al momento della presentazione delle liste per le politiche del 2013 ha dichiarato come residenza anagrafica proprio via Napoleone III, civico 8. C’è poi la moglie del presidente Gianluca Iannone, Maria Bambina Crognale, che alla Camera di Commercio nel 2014 aveva dichiarato quello stesso domicilio nelle schede delle società dove ancora oggi ha ruolo di rilievo. È una delle socie della catena di ristoranti “Angelino dal 1899”, con locali nella capitale, a pochi passi dal Colosseo, vicino alla stazione centrale di Milano, a Malaga e a Lima, in Perù. Un piccolo impero della ristorazione. E, ancora, tanti altri volti noti dell’estremismo di destra romano, infilati nelle liste elettorali durante le ultime elezioni comunali del 2016. Tutti in “emergenza abitativa”?

Il palazzo di via Napoleone III non è solo un ottimo alloggio a costo zero per militanti e vertici del movimento. È diventato il vero simbolo di CasaPound, un avamposto nel cuore della capitale. Quando, a fine gennaio, girò la voce di un possibile sgombero, Gianluca Iannone spiegò senza mezzi termini: «Sarebbe un atto di guerra. Ma se non altro vorrà dire che, in un’epoca ignobile come questa, anche noi avremo la possibilità di morire per un’idea».

Dopo l’occupazione del 27 dicembre 2003 il Miur – il dicastero che ha in carico l’edificio – ha presentato una denuncia informando il Prefetto e l’avvocatura dello Stato, chiedendo lo sgombero. Pochi mesi dopo, però, nel maggio del 2004, viale Trastevere ha comunicato all’Agenzia del Demanio di voler riconsegnare il palazzo “per cessate esigenze istituzionali”: richiesta respinta proprio per via dell’occupazione abusiva di CasaPound. Da allora, spiegano all’Espresso gli uffici del Miur, «il ministero non ha intrapreso azioni per rientrare in possesso dell’immobile», salvo sollecitare nel 2008 «le autorità competenti in merito alla denuncia, richiedendo ancora una volta lo sgombero». Atti che – a quanto sembra – non hanno avuto conseguenze, tanto che oggi la Prefettura di Roma segnala che «non ci sono provvedimenti dell’autorità giudiziaria» sull’immobile.

Demanio e Ministero dell’Istruzione oggi si rimpallano le responsabilità: l’agenzia che gestisce gli immobili dello Stato sottolinea di aver chiesto al Miur di adoperarsi contro l’occupazione abusiva. Il Miur, dal canto suo, sostiene di non avere più in carico il bene e che il palazzo è «rientrato nella sfera di competenza dell’Agenzia del Demanio».

La situazione sembrava potersi sbloccare nel 2009, ma non nella direzione sperata. Un anno dopo l’elezione a sindaco di Gianni Alemanno, il Demanio accetta di inserire il bene in un protocollo d’intesa col Comune di Roma, con l’intenzione di cederlo al Campidoglio per 11 milioni e 800 mila euro. L’operazione viene inserita con discrezione in un pacchetto di permute di immobili, ex caserme e terreni demaniali. Ma non passa inosservata.
L’opposizione di sinistra già vede il palazzo, una volta acquistato da Alemanno, concesso in comodato d’uso ai neofascisti. Così l’accordo salta tra le polemiche e tutto resta come prima. Intanto i solleciti inviati dal ministero in Prefettura e ai carabinieri sono sempre rimasti lettera morta. Ma l’aura di intoccabilità della sede di CasaPound non finisce qui. Le utenze di acqua e luce, ad esempio, sono attive nonostante il decreto Lupi del 2014 richieda l’esistenza di un titolo abitativo valido per l’allaccio delle utenze.
Nel 2004 vi fu un primo distacco, per disattivare le vecchie utenze Acea e Telecom intestate al ministero. Il 10 febbraio del 2016 la Polizia di Stato ha fornito il supporto per il taglio delle forniture, poi però misteriosamente riallacciate. Acea – società partecipata al 51 per cento dal Comune di Roma – non vuole commentare la questione trincerandosi dietro alla privacy: «Alla luce dei vincoli di riservatezza gravanti sull’Azienda non è consentito fornire informazioni circa la titolarità e lo stato di specifiche posizioni», è la burocratica risposta. Impossibile, dunque, sapere a chi siano intestate oggi le utenze. E chi le paga, se qualcuno le paga.  Nessun soggetto istituzionale ha mai predisposto una stima del danno erariale causato dall’occupazione del palazzo di via Napoleone III. E tra gli sgomberi che le autorità hanno in programma nella capitale, su quello di CasaPound resta sempre il timbro “non prioritario”. “

L’Osservatorio: a seguito della pubblicazione di questo articolo, la procura regionale del Lazio della Corte dei Conti apre una indagine, ed i risultati della stessa vengono pubblicati ancora una volta da Andrea Palladino ed Andrea Ornago in un articolo del 17 giugno 2019 pubblicato sul sito de “l’espresso”: https://espresso.repubblica.it/attualita/2019/06/17/news/casapound-un-danno-allo-stato-di-4-6-milioni-e-nessuna-emergenza-abitativa-1.336065

“Non c’è «nessuna emergenza abitativa» nell’edificio pubblico occupato da Casapound in via Napoleone III a Roma. La procura regionale del Lazio della Corte dei Conti, guidata da Andrea Lupi, non ha dubbi: la vicenda dell’edificio di sei piani di proprietà dello Stato occupato abusivamente da 15 anni dal movimento politico presieduto da Gianluca Iannone, che l’ha trasformato nella sua sede, è prima di tutto un caso di «gravissima negligenza e scarsissima cura (mala gestio)» dell’amministrazione pubblica, che ha causato alle casse dello Stato un danno di oltre 4,6 milioni di euro. Cifra ora contestata con un invito a dedurre a nove alti dirigenti del Miur e dell’Agenzia del demanio, gli enti responsabili del bene.

«Non è tollerabile in uno Stato di diritto una sorta di “espropriazione al contrario”, che ha finito per sottrarre per oltre tre lustri un immobile di ben sei piani, sede storica di uffici pubblici, al patrimonio indisponibile dello Stato, causando in tal modo un danno certo e cospicuo all’erario», si legge nell’atto firmato dal vice procuratore della Corte dei conti, Massimiliano Minerva, e notificato nelle scorse ore dalla Guardia di finanza ai dirigenti del ministero dell’Istruzione e del Demanio che si sono succeduti negli anni mentre proseguiva l’occupazione abusiva.

La vicenda inizia alla fine del 2003, quando il gruppo di estrema destra forza la serratura dell’edificio di via Napoleone III di proprietà del Demanio ed in uso al ministero dell’Istruzione e dell’Università. Già pochi mesi dopo l’occupazione, il dossier arriva sul tavolo della Prefettura di Roma: «L’8 maggio 2004 la Prefettura di Roma ha invitato il Miur a presenziare al Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica – si legge nell’invito a dedurre della procura regionale della Corte dei conti – fissato per il giorno 13 maggio 2004» per discutere lo sgombero del palazzo; seguiranno, fino al 28 febbraio 2007, altre cinque riunioni del medesimo Comitato provinciale. Ma nulla accade. Uno dei timori delle autorità, scrivono i magistrati contabili, era quello di «scongiurare presunte reazioni violente da parte degli occupanti». Meglio evitare scontri, in altre parole. Una spiegazione inaccettabile, per la Corte dei conti, anche sulla base di recenti pronunce della Cassazione per cui «significherebbe che per ragioni di ordine pubblico si può tollerare la violazione dell’ordine pubblico».

Nei tavoli istituti negli anni scorsi presso la Prefettura un altro argomento sollevato, che ha permesso di rinviare sine die lo sgombero, era la presunta presenza di famiglie di basso reddito, in “emergenza abitativa”. La verifica chiesta alla Guardia di finanza dalla procura contabile dipinge una situazione ben diversa: «Dal semplice incrocio dei dati anagrafici dei residenti nell’immobile in questione con le banche dati finanziarie – si legge nel documento della procura contabile – è emerso che le condizioni reddituali che caratterizzano gli occupanti abusivi dell’edificio di proprietà pubblica, lungi dal presentare le connotazioni tipiche dell’emarginazione economica o sociale, non consentono di annoverare gli occupanti tra le famiglie in stato di emergenza abitativa: si tratta di soggetti economicamente autosufficienti, che dichiarano redditi imponibili ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche: dipendenti di società private, della Cotral spa, di società a partecipazione pubblica (Zetema Progetto Cultura srl), del Policlinico Gemelli, o, addirittura, in un caso, del comune di Roma». Una ricostruzione che smentisce anche quanto ha sempre affermato CasaPound. Dal 2008, per circa dieci anni, nulla accade. Solo alla fine del 2017 l’Agenzia del Demanio ha chiesto alla Prefettura e ai Carabinieri di piazza Dante – competenti per l’area di via Napoleone III – un aggiornamento «sulle attività di liberazione del bene». Nessuna risposta è mai arrivata.

Dal punto di vista giudiziario la vicenda ha contorni grotteschi. Subito dopo l’occupazione un funzionario del Miur presenta un esposto querela, per il danneggiamento del portone e l’occupazione abusiva dello stabile. Dopo tre anni di istruttoria vengono rinviati a giudizio Simone Di Stefano (oggi segretario del movimento), Alessandro Giombini, Paolo Sebastianelli e Antonio Smedile, tutti esponenti di CasaPound. Il 2 ottobre del 2007 i quattro vengono assolti, per un difetto di querela: il funzionario del Miur Francesco Gregorace «era sprovvisto di procura» per per presentare la denuncia. Ma per la Corte dei conti quel problema poteva essere risolto. Il reato di occupazione abusiva è infatti permanente e la querela, secondo i magistrati che oggi ricostruiscono l’intera vicenda, poteva essere riproposta. Inoltre il Miur non ha proposto appello alla sentenza del 2007, nonostante fosse stata notificata correttamente all’Istruzione, «nella persona del ministro pro tempore, con invito a presenziare all’udienza del 12 luglio 2006».

Il Miur e il Demanio avrebbero potuto percorrere anche strade per riuscire a rientrare in possesso del palazzo occupato. Ed è questo il cuore della contestazione arrivata alla fine dell’inchiesta della Procura della Corte dei Conti: «Risulta accertato – si legge nell’invito a dedurre – come di fronte all’occupazione da parte di una associazione e di alcune famiglie di un intero stabile nel centro della Capitale, l’Agenzia del Demanio (proprietaria) e il Miur (titolare dell’uso governativo) non abbiano adottato le iniziative amministrative in autotutela o le azioni giudiziarie del caso, tollerando l’illegittima ed abusiva occupazione e causando con ciò notevoli danni alle pubbliche finanze». I funzionari avrebbero potuto richiedere «l’indennità di occupazione abusiva (danno figurativo parametrato ai canoni di locazione)» o adottare «immediatamente le iniziative amministrative (ordinanza ex art. 823, co. 2, c.c.) o giudiziarie di tipo civilistico e/o penalistico per riottenere, anche in via di urgenza (ex art. 700 cpc), la disponibilità dell’immobile e per conseguire il risarcimento dei danni». Azioni che per i magistrati contabili non sono mai avvenute. Un’inerzia che ora potrebbe costare ai dirigenti pubblici più di 4,6 milioni di euro.”

L’Osservatorio: torniamo finalmente ai giorni nostri e alle molte voci che dopo la recente occupazione dell’area di via delle baleniere ad Ostia si sono levate chiedendo lo sgombero della sede abusiva di via Napoleone III, tra queste quella di Virginia Raggi, sindaca di Roma:

https://ilmanifesto.it/virginia-raggi-sgomberare-le-sedi-di-casapound/?fbclid=IwAR2kkBo1KsxIY05aG5y_cSH10xWyOjZUaJ2y3YjLWYMKoBOC3jA-t_lcrDE

La sindaca di Roma Virginia Raggi torna a chiedere lo sgombero delle sedi di Casapound (Cpi). La prima cittadina ha scritto ieri al ministro dell’Economia e delle finanze Roberto Gualtieri e a quello della Difesa Lorenzo Guerini (entrambi del Partito Democratico). Con il primo ha sollevato la questione relativa alla storica sede dei «fascisti del terzo millennio», situata in via Napoleone III, nel quartiere romano dell’Esquilino.

La seconda lettera , invece, è stata indirizzata dalla sindaca al 123/A di via XX settembre, sede del ministero della Difesa. L’oggetto è l’area militare occupata poco più di un mese fa a Ostia: alcune unità abitative e un grande spazio all’aperto all’interno dell’ex Villaggio Azzurro. Anche in questo caso Cpi sostiene si tratti di una risposta ai problemi di accesso all’alloggio di alcune persone, sebbene nei comunicati parli alcune volte di 20 famiglie, altre di 10, altre ancora di tre o quattro individui.

L’Osservatorio: alla richiesta della  Sindaca della Capitale si è aggiunta quella Carla Nespolo  presidente nazionale dell’Anpi:

https://roma.repubblica.it/cronaca/2020/05/19/news/roma_carla_nespolo_contro_casapound_basta_con_le_illegalita_squadriste_le_loro_sedi_vanno_sgomberate_-257092598/?fbclid=IwAR1RRo2akJ0UdgC5aQQRA8fFS6n6e0_jneyb-hFJQcIikTYo4TVc7iF32XY

“Lo stabile di Ostia di proprietà della Difesa occupato illegalmente da CasaPound va sgomberato immediatamente, senza se e senza ma, e lo stesso deve avvenire per il palazzo sequestrato da CasaPound a Roma da anni e diventato sede nazionale – aggiunge la presidente dell’Associazione partigiani d’Italia – Siamo davanti a un vero scandalo. Contro qualsiasi inerzia vanno difesi prestigio e dignità delle istituzioni”.

                                                                               L’Osservatorio : in questo lungo viaggio attraverso gli ultimi anni di attività di CasaPound a Roma e nel territorio metropolitano della Capitale, abbiamo ricordato le protezioni politiche e le “strane dimenticanze” burocratiche che hanno permesso a CP di continuare indisturbata per 17 anni ad occupare i beni dello Stato. Oggi, alla luce dei mutati equilibri tra le organizzazioni criminali di Ostia, con il lento ed inesorabile declino del Clan Spada che dominava la zona di maggior influenza politica di CasaPound nella cittadina del litorale romano, visto poi come prossimo lo sgombero di via Napoleone III, sorge spontaneo il dubbio che Area 121 sia il cavallo di Troia per spostare sul litorale il quartier generale delle Tartarughe Frecciate. A questo punto sorge spontanea la domanda : ma di chi è l’emergenza abitativa? 

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