Dopo il 25 aprile del 1945, in memoria di quello che aveva rappresentato nella lotta di Liberazione l’omonima «sotto-brigata» della 85ma Garibaldi, operativa nella Val d’Ossola, alcuni reduci della Resistenza milanese fondarono l’organizzazione della Volante Rossa. Lo fecero nel quartiere di Lambrate, a est di Milano, in via Conte Rosso 12. Il luogo era simbolico, là c’era stata, fino a poco tempo prima, la Casa del Fascio. Ora ci avevano messo radici praticamente tutti i partiti della sinistra, l’Anpi, l’Unione donne italiane e altre organizzazioni tra cui la Casa del Popolo, all’interno della quale la Volante Rossa crebbe. Gli scopi dell’organizzazione erano molteplici: innanzitutto tener viva e vigile la memoria sulla guerra di Liberazione; poi costituire una sede culturale, politica, sociale, sportiva e quant’altro per tutte quelle ragazze e ragazzi che erano cresciuti durante la guerra e che di fatto una gioventù e una crescita sociale non le avevano potute avere. Più passava il tempo e più i fascisti tornavano impuniti in circolazione. La Volante Rossa si pensò obbligata a sostituirsi a chi era preposto a esercitare nei loro confronti vigilanza e giustizia e non lo faceva.
Il gruppo venne fondato da giovani che erano freschi di Resistenza. Oltre a Giulio Paggio, detto Alvaro, c’erano Oreste Burato detto Lino, Ferdinando Clerici detto il Balilla, Osvaldo Poli, Otello Alterchi e pochi altri. I rari non iscritti al Partito comunista ne erano comunque simpatizzanti. Gli altri – in totale la Volante Rossa sarebbe arrivata a contare circa una settantina di aderenti – erano tutti molto giovani e assai poco politicizzati, e di alcuni esponenti minori non si conobbe neanche mai il nome. Altri, semplicemente, partecipavano alle attività ludiche del gruppo, ma nel momento in cui si progettava qualche azione si tiravano indietro per paura.
Quel che è certo è che la stragrande parte di loro aveva un lavoro da operaio, e anche per questo fu sempre estremamente saldo il legame tra il gruppo e le lotte all’interno delle fabbriche dove essi erano impiegati. A tutti gli effetti erano avanguardie della classe operaia. Ai fondatori, che avevano un’età media di vent’anni, si unirono giovani la cui età era compresa tra i 13 e i 20 anni. Alcuni avevano partecipato all’ultima fase della guerra di Liberazione, con ruoli secondari o come staffette – tra questi Paolo Finardi, Pastecca – mentre altri erano troppo giovani. Però ne sentivano parlare in continuazione dai loro compagni più grandi, e da quei racconti restavano affascinati. Anche se bambini o adolescenti avevano comunque vissuto la guerra e le angherie degli oppressori.
All’inizio la Volante Rossa funzionò a tutti gli effetti come un circolo ricreativo-sportivo ben strutturato dove si organizzavano gare, balli ed escursioni. Ma, dietro queste attività di facciata, iniziò a farsi strada un’azione di vigilanza di tipo clandestino su quanto stava accadendo nel paese. Molti, troppi fascisti, anche responsabili di gravi reati, venivano spesso interrogati sui fatti in questione e poi subito rilasciati. Assai pochi erano coloro che, pur avendo avuto ruoli importanti nel passato regime, venivano mandati a processo, e ancora di meno quelli che, pur se condannati, restavano in galera. Si contavano davvero sulle dita di una mano. Immediatamente dopo la Liberazione, inoltre, i fascisti iniziarono a riorganizzarsi in gruppuscoli e formazioni diverse. Dall’unione di esse l’anno successivo sarebbe nato, caso paradossale in un paese appena affrancato da una dittatura fascista, un partito di quella stessa dichiarata ideologia: il Movimento Sociale Italiano.
Le escursioni nelle montagne e valli della Lombardia, del Piemonte e della Svizzera non erano rare. I corpi e le menti venivano tenuti sempre in esercizio. Si pose presto il problema di come raggiungere i posti di «villeggiatura». Fu così che, quando Giulio Paggio seppe che si sarebbe tenuta un’asta di residuati bellici, i ragazzi decisero di parteciparvi per comprare un camion Chevrolet Dodge. Quell’asta rimase poi famosa; la ricordano in tanti, e lo stesso Paolo Finardi nella sua biografia. Dopo l’offerta base di 100.000 lire Alvaro rialzò a 120.000. Il banditore insistette ma le offerte non salirono più. Nonostante qualcuno abbia successivamente smentito, nessuno, sentendosi addosso la minacciosa presenza della canna di una pistola, ebbe il coraggio di rilanciare.
Successivamente quel camion lo fecero sistemare e dipinsero delle insegne sulle sue fiancate. Avevano finalmente un bel mezzo di trasporto per le gite domenicali in montagna che intestarono a Borghini, uno dei pochissimi ad avere già la patente. Il camion, non immatricolato e con una targa provvisoria, era stato fermato un paio di volte dalla stradale, ma, visti i fini anche «celebrativi» per cui era utilizzato, il giudice annullava le multe e consentiva comunque il rinnovo della targa provvisoria. Lo stesso camion, successivamente, sarebbe servito nelle attività di servizio d’ordine, negli scioperi, nelle manifestazioni di piazza.