
Il gruppo terroristico neofascista, Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR) , nasce in rottura con il neofascismo missino (Movimento Sociale Italiano).
Ai NAR vengono attribuiti 33 omicidi, ai quali si aggiungono gli 85 morti della Strage alla stazione di Bologna, 2 agosto 1980, per la quale sono stati condannati con sentenza definitiva Giuseppe Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. Per la strage sono inoltre condannati sempre in via definitiva, per il depistaggio delle indagini, i massoni della Loggia P2 Licio Gelli e Francesco Pazienza e gli ufficiali dei servizi segreti Musumeci e Belmonte.
Il primo gruppo dei NAR nasce a Roma, sul finire del 1977, ed è composto da alcuni neofascisti militanti della sede romana del FUAN (Fronte Universitario d’Azione Nazionale) di via Siena, dentro la quale si comincia a mettere in discussione l’immobilismo del partito di Almirante e la possibilità di intraprendere un percorso di lotta armata. L’ingresso nel FUAN romano di numerosi fascisti capeggiati da Giusva Fioravanti diede quindi vita ad un nuovo soggetto eversivo, il cui nucleo originario comprendeva appunto Giusva Fioravanti, suo fratello Cristiano, Francesca Mambro, Franco Anselmi ed Alessandro Alibrandi. I NAR non ebbero mai una struttura ben definita e un’organizzazione da un punto di vista gerarchico rigida, ma furono piuttosto una sigla aperta a disposizione di militanti provenienti dalla galassia dell’estrema destra fascista.
Dall’interrogatorio di Giusva Fioravanti del 19 febbraio 1981
” Lei mi chiede che cosa sono i Nar, se esiste una organizzazione dietro questa sigla. Rispondo: Nar è una sigla dietro la quale non esiste un’organizzazione unica, con organi dirigenti, con dei capi, con delle riunioni periodiche, con dei programmi. Non esiste un’organizzazione Nar simile alle Brigate Rosse o a Prima Linea. Non esiste neppure un livello minimo di organizzazione. Ogni gruppo fascista armato che si formi anche occasionalmente per una sola azione può usare la sigla Nar. D’altra parte non esisterebbe modo per impedirlo “.
Relazione della Commissione Stragi
“ La sigla Nuclei Armati Rivoluzionari, sottende una realtà di non facile comprensione e si inserisce in un orizzonte volutamente mutabile e in movimento. Tale sigla infatti venne dapprincipio utilizzata dal gruppo formato dai fratelli Fioravanti, Alessandro Alibrandi e Franco Anselmi che si era andato strutturando in un processo di aggregazione per gruppi operanti nei quartieri e attivi in pestaggi e scontri fisici con oppositori politici, ma che già dal suo nascere non intendeva caratterizzarsi come una specifica formazione politica, quanto piuttosto mettere a disposizione di tutta l’area della destra una sorta di parola d’ordine con cui attestare, attraverso i fatti, la condivisione del progetto complessivo. Come si vede l’idea coincide con le quasi contemporanee prese di posizione di Costruiamo l’Azione, e la convinzione radicata in Fioravanti e negli altri a lui vicini della superfluità delle parole e della forza rivoluzionaria dell’esempio. Valerio Fioravanti spiegherà il significato della sigla in questi termini: “la sigla N.A.R. è stata usata da molti anni, inizialmente per semplici attentati di danneggiamento, e stava ad indicare soltanto la matrice fascista. Tale sigla peraltro non si riferisce ad una organizzazione stabile e strutturata; bensì soltanto alla matrice degli attentati. Se vi era il rischio che persone estranee o anche persone della destra facessero azioni sbagliate e controproducenti, esso era compensato dal vantaggio che tale organizzazione sembrasse realmente esistente e attiva per più lunghi periodi di tempo”. Tale elasticità è indicativa di un atteggiamento del gruppo NAR che rimane tuttavia sufficientemente individuabile come tale per la stabilità della sua formazione, dell’armamento e la consequenzialità dei comportamenti tenuti ed anzi finisce per essere un modo caratteristico di essere della formazione invece che la negazione della sua esistenza come struttura “. Pertanto aldilà del nucleo fondativo della prima ora, altri componenti di questa ” sigla ” furono Gilberto Cavallini, Luigi Ciavardini, Giorgio Vale, Giorgio Vale, Giuseppe Dimitri, Massimo Morsello, Mario Corsi, Dario Pedretti, Stefano Soderini, Walter Sordi, Pasquale Belsito, Roberto Nistri, Egidio Giuliani, Dario Mariani i fratelli Claudio e Stefano Bracci, Stefano Tiraboschi, Ciro e Livio Lai, Paolo Pizzonia, Luigi Aronica, Marco Di Vittorio, Gabriele De Francisci, Domenico Magnetta, Patrizio Trochei, Pasquale Guaglianone, Pierluigi Bragaglia, Luigi Fraschini, Alberto Piccari, Fabrizio Zani, Stefano Procopio, Luciano Petrone, Fabio Valencic, Gilberto Falcioni, Claudio Conti, Andrea Pucci, Nicola Frega, Dario Faragnani, Massimo Carminati, quest’ultimo personaggio tristemente noto anche per l’inchiesta su e che all’epoca rappresentò l’elemento di congiunzione tra i NAR e la Banda della Magliana e Riccardo Brugia, anche lui imputato nell’ambito dell’inchiesta su ” Mafia Capitale ” .
Le azioni più eclatanti dei NAR
1977
Il 30 dicembre del 1977 attaccano, a colpi di molotov l’entrata del quotidiano Il Messaggero in via dei Serviti, a Roma.
1978 Il 4 gennaio 1978, la prima azione rivendicata dai NAR, un commando di 5 persone entra nella redazione romana del Corriere della Sera minacciando con le pistole gli impiegati e lanciando poi tre molotov, una delle quali, tirata da Franco Anselmi, colpisce per sbaglio in testa il portiere dello stabile che ne rimase gravemente ustionato. Il primo assassinio, ma non rivendicato, fu invece compiuto a seguito dei fatti di di Acca Larentia. Il 7 gennaio del 1978, a Roma, davanti alla sezione del MSI, al quartiere Appio – Tuscolano, un commando uccise due militanti missini: Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, un terzo missino, Stefano Recchioni, morirà quello stesso giorno, ucciso da un carabiniere negli scontri che ne seguirono tra fascisti e forze dell’ordine. La sera del 28 febbraio a Roma, un commando fascista cerca un obiettivo politico da colpire, qualche “ Rosso ” da eliminare, oltre che per celebrare il terzo anniversario della morte di Miki Mantakas per vendicare i camerati uccisi il 7 gennaio, spinti da questi propositi di vendetta, dal bar Fungo, ritrovo dei neofascisti romani situato in zona EUR, si danno appuntamento in otto: due tra questi sono i fratelli Giusva e Cristiano Fioravanti, poi vi sono Franco Anselmi, Alessandro Alibrandi, Dario Pedretti, Francesco Bianco, Paolo Cordaro e Massimo Rodolfo. Partono con tre macchine, come dirà in seguito Cristiano Fioravanti, arrestato l’8 aprile del 1981 e immediatamente pentitosi, l’Anglia Ford della madre, la Fiat 127 di Massimo Rodolfo e la Fiat 130 di Paolo Cordaro. Il loro obiettivo è il centro sociale occupato lo “Stabile“, in via Calpurnio Fiamma a Cinecittà, voci provenienti dal carcere romano di Regina Coeli lo indicano come il luogo da dove sono partiti gli autori dell’assalto alla sede di via Acca Larentia ( un “sentito dire” risultato essere inattendibile e privo di alcun riscontro e fondamento ), non sono però a conoscenza che, giusto il giorno precedente, lo “Stabile” era stato sgomberato dalla polizia. Dopo essere stati davanti al Centro Sociale e non avendo trovato nessuno, i fascisti compiono dei giri nel quartiere in cerca di una preda da colpire. In piazza San Giovanni Bosco, ritrovo per molti militanti di sinistra della zona, c’è un gruppo di ragazzi che con i fatti di Acca Larentia non c’entra proprio nulla, tra questi c’è anche Roberto Scialabba, un giovane di 23 anni. Il loro abbigliamento però li identifica come compagni, sono quindi l’obiettivo da colpire. Per l’azione omicida viene utilizzata la Fiat 130, con a bordo i due Fioravanti, Anselmi, Alibrandi e Bianco, gli altri tre con le restanti due macchine aspetteranno in una stradina limitrofa alla piazza. Bianco e Alibrandi restano dentro l’automobile, il primo alla guida e l’altro in funzione di copertura, mentre Giusva Fioravanti con Cristiano Fioravanti e Anselmi guida l’azione assassina, i tre sparano su tutto ciò che si muove, Roberto cade a terra ferito ed è Giusva, come lui stesso anni dopo dichiarerà, che gli darà il “colpo di grazia”, nello stesso agguato rimane ferito anche Nicola, il fratello di Roberto. Qualche ora dopo con una telefonata al quotidiano Il Messaggero quella prima azione omicida viene rivendicata con la sigla Gioventù Nazional – Rivoluzionaria, ma i giornali e partiti politici del tempo, ad eccezione del quotidiano Lotta Continua, cercheranno di far passare l’omicidio come un regolamento di conti tra spacciatori, creando in questo modo un immaginario collettivo falso intorno alla figura di Roberto, che da giovane militante di sinistra, assassinato dai fascisti, diventa un tossico ucciso per storie di droga. La tesi che i responsabili dell’atto criminale fossero stati i fascisti, sostenuta fin da subito dai compagni e gli antifascisti di allora, trovò definitivamente conferma nel marzo del 1982, quando il pentito Cristiano Fioravanti rivendicò la paternità di quell’omicidio.
Cristiano Fioravanti da ” A mano armata ” di Giovanni Bianconi “Eravamo a bordo di tre vetture, l’Anglia Ford di mia madre, la Fiat 127 bianca di Massimo Rodolfo e la Fiat 130 color senape o oro metallizzato di Paolo Cordaro. A bordo delle tre dette autovetture ci recammo in una stradina limitrofa a piazza Don Bosco e rilasciammo l’Anglia e la Fiat 127, mentre sulla Fiat 130 prendemmo posto io (Cristiano Fioravanti, ndr), Valerio, Alibrandi, Anselmi e il Bianco che fungeva da autista. Gli altri tre rimasero ad attenderci nella stradina ove avevamo lasciato le altre due vetture. Giunti in piazza Don Bosco sulla Fiat 130 la cui targa era stata coperta con un giornale, vedemmo che c’erano due o tre persone sedute su una panchina o staccionata dei giardinetti che si trovavano vicino alla strada, dalla parte sinistra, andando verso Don Bosco, mentre altre due o tre persone erano in piedi vicino alla detta panchina o staccionata. Il Bianco rimase al volante della vettura, ed egualmente a bordo della stessa rimase come copertura Alibrandi. (…) Mi sembra che abbiamo fatto subito fuoco. Io sono sicuro di aver colpito una delle persone verso la quale avevamo sparato uno o due colpi, e non potei spararne altri perché la pistola si inceppò. Anselmi scaricò tutto il suo caricatore ma credo che non colpi nessuno, essendo lui un pessimo tiratore.noi lo chiamavamo “i l cieco di Urbino” . Valerio invece colpì uno dei ragazzi che cadde a terra. Visto ciò Valerio gli salì a cavalcioni sul corpo sempre rimanendo in piedi e gli sparò in testa uno o due colpi. Quindi si girò verso un ragazzo che fuggiva urlando, e sparò anche contro questo ma senza colpirlo. Io credo di aver colpito una delle persone al torace o all’addome; non so dire se si tratta del ragazzo rimasto ucciso o di quello ferito. Non si era parlato espressamente in precedenza di quello che si voleva fare, ma quando tornammo alle nostre macchine nessuna delle tre persone che ci attendevano ebbe a mostrarsi dispiaciuta “. Il 6 marzo lo stesso gruppo rapina l’armeria dei fratelli Centofanti, in via Ramazzini, nella zona di Monteverde a Roma, la più grande della città, ma mentre il commando si dà alla fuga Franco Anselmi attardatosi all’interno dell’armeria viene colpito a morte alla schiena dal proprietario Daniele Centofanti, che nel mentre era riuscito a liberarsi. Il 18 marzo a Milano vengono assassinati, intorno alle ore 20, Fausto Tinelli e Lorenzo «Iaio» Iannucci, militanti del Centro Sociale Leoncavallo . Delle rivendicazioni pervenute nei giorni a seguire l’assassinio la più attendibile risulterà quella effettuata a nome dei NAR. Indiziati per il duplice omicidio risulteranno Massimo Carminati, Mario Corsi e Claudio Bracci, ma il 24 settembre 1999 il Pm di Milano Stefano Dambruoso chiederà l’archiviazione del caso, che nel dicembre del 2000 il Giudice dell’Udienza Preliminare di Milano confermerà per insufficienza di prove ai tre fascisti. Il 28 settembre a Roma, all’Alberone, è sera ed Ivo Zini insieme a due suoi amici si trova davanti alla bacheca della locale sezione del Partito Comunista Italiano a quell’ora chiusa, nel mentre si ferma un vespone bianco con due persone in sella, hanno i volti coperti, sparano quattro colpi, uno al petto mortale colpisce Ivo, due colpi feriscono uno dei due amici mentre il quarto proiettile si conficca nel muro. Verso le 23 dello stesso giorno con una telefonata a Il Messaggero l’assassinio viene rivendicato dai NAR. Per la morte di Ivo Zini, in Corte di Appello viene condannato come uno degli escutori materiali a, 23 anni Mario Corsi detto “Marione”, a tutt’oggi speaker di radio romane e legato al tifo romanista. Il 9 aprile 1987, la Corte di Casszione dispone un nuovo processo nel quale Corsi ottiene l’assoluzione l’assoluzion per poi essere confermata in Cassazione nel 1989.
1979
Il 9 gennaio del 1979 un commando formato da Valerio Fioravanti, Alessandro Alibrandi, Patrizio Trochei, Alessandro Pucci, Dario Pedretti, Livio Lai, Gabriele De Francisci e Paolo Pizzonia giunge con le auto nei pressi di Radio Città Futura, nel popolare quartiere romano di San Lorenzo. In tre Fioravanti, Pucci e Pedretti assaltano poi gli studi durante la registrazione della trasmissione femminista Radio Donna, dando fuoco ai locali e sparando alle quattro conduttrici che, raggiunte da colpi di mitra e pistola, rimangono ferite.
Il 15 marzo per commemorare il primo anniversario della morte di Franco Anselmi, i NAR rapinano l’armeria Omnia Sport, in pieno centro di Roma, in via IV Novembre prendendosi una sessantina di pistole, quindici carabine e diverse munizioni. Il 16 giugno, a Roma, viene assaltata la sezione del PCI dell’Esquilino durante un’assemblea a cui partecipano gente del quartiere e ferrovieri, vengono lanciate due bombe a mano Srcm e sparati alcuni colpi di arma da fuoco, rimangono ferite ventisette persone, di cui tre gravemente.
Il 17 dicembre un commando composto anche da appartenenti a Terza Posizione organizzano un agguato all’avvocato Giorgio Arcangeli, reo di aver denunciato e fatto arrestare Pierluigi Concutelli, l’autore dell’omicidio Occorsio, però ad essere assassinato sarà Antonio Leandri, un geometra di 24 anni, la cui colpa fu quella di essersi voltato al grido ” avvocato “, anche in questa occasione, come per Roberto Scialabba, fu Giusva Fioravanti a sparare il colpo di grazia al giovane.
1980 Il 6 febbraio Valerio Fioravanti e Giorgio Vale uccidono, mentre è in servizio di vigilanza davanti all’Ambasciata del Libano, il poliziotto Maurizio Arnesano per impadronirsi del suo mitra M12. Il 22 febbraio in via Monte Bianco, 114 a Roma, quartiere Monte Sacro, tre individui irrompono in casa Verbano immobilizzano e legano Carla e Sardo, l’obiettivo è loro figlio, Valerio, compagno del Liceo Archimede molto conosciuto in zona per il suo impegno antifascista e non solo. Quando Valerio rientra in casa, sono circa le 13.40, al suo ingresso in casa viene affrontato subito da due dei tre aggressori, ne nasce una violenta colluttazione, Carla sente un colpo di pistola attutito, a dar manforte ai due arriva il terzo aggressore lasciando così Carla e Sardo legati e sdraiati sul letto matrimoniale, poi si sente un nuovo colpo di pistola, questa volta più secco, a questo punto i tre si danno frettolosamente alla fuga lasciando la porta di casa aperta, Carla nel frattempo rotola in terra e a carponi giunge alla porta della camera da letto che con il mento riesce ad aprire e vedere Valerio morente sul divano del salotto. Si succedono le prime rivendicazioni, la prima giunta all’ANSA intorno alle 19.45 è a nome del Gruppo Proletario Armato Organizzato, dopo poco più di un’ora verso le 21.00 sempre all’ANSA giunge la rivendicazione dei NAR, molto più dettagliata e precisa della precedente e quindi attendibile perchè viene menzionata correttamente l’ora del delitto, le 13.40, il proiettile calibro 38 che ha ucciso Valerio e soprattutto della pistola calibro 7,65 trovata in casa Verbano, questo ritrovamento a quell’ora ancora non era stato reso pubblico. Il 6 marzo nel secondo anniversario della morte di Franco Anselmi, i NAR rapinano l’armeria Perini in via Rasella, a Roma, asportando 27 pistole. Il 28 maggio,davanti al Liceo romano Giulio Cesare, un commando formato da Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Giorgio Vale e Luigi Ciavardini, uccide l’appuntato di Polizia Francesco Evangelista, detto Serpico, ferendo altri due agenti. Il 23 giugno viene ucciso a Roma, mentre attendeva l’autobus alla fermata tra l’incrocio di viale Jonio e via Monte Rocchetta , il sostituto procuratore Mario Amato. Il 2 agosto, alla stazione centrale di Bologna, una bomba messa nella sala d’aspetto di seconda classe, provoca una strage causando 85 morti e oltre 200 feriti.
La sera del 2 settembre, a Roma, i NAR uccidono Maurizio Di Leo, tipografo del quotidiano Il Messaggero, scambiandolo per il giornalista Concina che seguiva le vicende dell’eversione nera nella capitale. Il 9 settembre a Roma, portato con una scusa nella pineta di Castelfusano, la Mambro, Dario Mariani, Giorgio Vale, Cristiano e Giusva Fioravanti uccidono il dirigente siciliano di Terza Posizione Francesco Mangiameli, i motivi dell’assassinio non sono stati mai chiariti del tutto, venne ipotizzato che si fosse intascato i soldi che dovevano servire per l’evasione del terrorista nero Pierluigi Concutelli, ma lo stesso Cristiano Fioravanti al processo in Corte di Assise di Appello per la Strage di Bologna avanzò la tesi che Mangiameli potesse essere stato testimone, nella sua casa di Palermo, degli accordi presi da Valerio con altre persone del luogo, in vista dell’omicidio del politico siciliano Piersanti Mattarella.
La sera del 30 ottobre vengono uccisi a Redecesio di Segrate Cosimo Todaro e la sua convivente Maria Paxou, una ballerina di origine greca per un regolamento di conti dopo una rapina.
Il 26 novembre a Milano, Gilberto Cavallini e Stefano Soderini uccidono il brigadiere dei Carabinieri Ezio Lucarelli.
Il 19 dicembre a Treviso Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Gilberto Cavallini, Giorgio Vale, Pasquale Belsito, Stefano Soderini e Andrea Vian prendono in ostaggio l’intera famiglia Giraldo per portare poi il capofamiglia nell’omonima gioielleria e costringerlo ad aprire la cassaforte, bottino in gioielli di tre miliardi.
1981
Il 6 gennaio Luca Perucci, militante di Terza Posizione, esce dalla sua abitazione di via Lucrino, nel quartiere Trieste a Roma, il suo amico Pasquale Belsito lo chiama e i due si allontanano insieme parlottando, Belsito estrae la pistola e lo colpisce a bruciapelo. La rivendicazione scritta giungerà circa nove mesi dopo a tre quotidiani, nel volantino per l’omicidio Straullu: ” Il 6 gennaio abbiamo giustiziato l’infame delatore Luca Perucci che aveva permesso l’attacco della magistratura bolognese contro le formazioni rivoluzionarie “.
La sera del 5 febbraio a Padova, Valerio Fioravanti, il fratello Cristiano, Francesca Mambro, Gilberto Cavallini, Giorgio Vale e Gabriele De Francisci cercano di ripescare da un canale un borsone di armi precedentemente nascosto, con la muta da sub, Cristiano si immerge ma durante questa operazione di recupero vengono scoperti da due carabinieri, Enea Codotto e Luigi Maronese, ne nasce un cruento conflitto a fuoco, Giusva Fioravanti spara uccidendo i due agenti, ma anche i carabinieri prima di essere uccisi riescono a colpire lo stesso Fioravanti, che gravemente ferito ad entrambe le gambe, verrà poco dopo arrestato. L’8 aprile viene arrestato a Roma, nei pressi dell’ufficio postale di piazza San Silvestro, Cristiano Fioravanti. Il suo pentimento, avvenuto dopo pochi giorni la sua cattura, portò gli investigatori ad ottenere numerose informazioni sui NAR e sui loro legami con fiancheggiatori esterni,dopo neanche un anno dal suo arresto fu rimesso in libertà sotto programma di protezione. Il 10 luglio a Roma, Francesca Mambro, Giorgio Vale, Gilberto Cavallini e Stefano Soderini rapinano una gioielleria in via Mario de’ Fiori. Renato Mancini, figlio del titolare, viene ucciso con una colpo in fronte perchè reagisce lanciandogli contro una lastra di vetro.
Il 31 luglio, sempre a Roma, ad essere ucciso è la volta di Giuseppe De Luca, Pino il calabro, accusato di aver ricevuto dei soldi da Alibrandi in cambio di alcune armi mai avute. Il 30 settembre è Marco Pizzari ad essere ammazzato nei pressi di piazza Medaglie d’Oro a Roma, accusato di aver collaborato con la polizia e che fosse responsabile dell’arresto di Ciavardini e Nanni De Angelis. Il 19 ottobre a Milano Alibrandi, Sordi e Cavallini seguiti da un’auto civetta della polizia sparano e colpiscono due agenti, Sordi si avvicina alla macchina per prendere le armi ed uccide con un colpo alla testa uno degli agenti feriti.
Il 21 ottobre, ad Acilia ( Roma ), Alessandro Alibrandi, Gilberto Cavallini, Francesca Mambro, Giorgio Vale, Stefano Soderini e Walter Sordi uccidono in un’imboscata il capitano della Digos Francesco Straullu, che coordina molte indagini sui gruppi dell’eversione nera, e l’agente Ciriaco Di Roma.
Il 5 dicembre, sulla via Flaminia alle porte di Roma, a restare ucciso, questa volta, è Alessandro Alibrandi. Il commando dei NAR composto anche da Walter Sordi, Pasquale Belsito e Ciro Lai era a caccia di un’auto della polizia da disarmare, ma i poliziotti reagiscono e nel conflitto a fuoco che ne segue Alibrandi viene colpito mortalmente alla testa, gli altri riuscirono a dileguarsi abbandonando il camerata morto in terra. Nella sparatoria venne ferito gravemente anche l’agente Ciro Capobianco che morirà due giorni dopo in ospedale.
Il 6 dicembre a Roma, in zona a Piramide, viene ucciso il carabiniere Romano Radici durante l’identificazione di due giovani sospetti che poi si diedero alla fuga ferendo un secondo carabiniere, l’omicidio fu successivamente rivendicato dai Nar in risposta alla morte di Alibrandi, ucciso il giorno prima.
1982
Il 5 marzo, un commando dopo aver rapinato l’Agenzia della Banca Nazionale del Lavoro di Piazza Irnerio a Roma, trova ad aspettarli all’esterno della banca le forze dell’ordine, presumibilmente avvertiti da qualcuno, nel conflitto a fuoco Alessandro Caravillani, uno studente di 17 anni del Liceo Artistico che transitava lì per caso per andare a scuola muore colpito alla testa, anche Francesca Mambro rimane ferita gravemente e successivamente viene lasciata al pronto soccorso dell’ospedale romano Santo Spirito, sul Lungotevere. Il 5 maggio a Roma, nell’irruzione delle forze dell’ordine nell’appartamento di via Decio Mure 43 nel quartiere Quadraro, intestato a Luigi Sortino un fascista con una militanza in Avanguardia Nazionale, viene ucciso Giorgio Vale.
Il 24 giugno Cavallini, Walter Sordi, Vittorio Spadavecchia e Pierfrancesco Vito sparano agli agenti Antonio Galluzzo e Giuseppe Pillon in servizio davanti alla sede dell’Olp di Roma, uccidendo il primo e ferendo il secondo.
L’8 luglio, alla periferia di Pisa in via Di Gello 26, Fabrizio Zani , Pasquale Belsito e Stefano Procopio uccidono Mauro Mennucci, il fascista che nell’estate del 1975 aveva rivelato alla polizia il nascondiglio in Francia di Mario Tuti.
I legami con la Banda della Magliana I NAR ebbero contatti sicuramente con la Banda della Magliana a Roma e presumibilmente con altri gruppi malavitosi al nord come in sud Italia.
Nel tessere questi rapporti un ruolo importante lo ebbe Massimo Carminati la sua frequentazione, con molti dei componenti la Banda della Magliana, lo portò ad entrare in contatto con i boss Danilo Abbruciati e Franco Giuseppucci.
In quel periodo a Carminati fu affidato dai NAR un quantitativo di armi ed esplosivo che portò nel nascondiglio di armi della”Banda”, situato negli scantinati del Ministero della Sanità, all’EUR. Quando questo deposito nel novembre 1981 fu scoperto vennero arrestati due dipendenti ministeriali, Alvaro Pompili e Biagio Alesse entrambi con legami alla “Banda”. Oltre al ritrovamento di armi leggere e pesanti e numerose munizioni fu rinvenuto, soprattutto, dell’esplosivo T4, lo stesso utilizzato per la strage alla stazione ferroviaria di Bologna del 2 agosto 1980.
da Commissione Parlamentare sul Terrorismo
“All’autofinanziamento furono invece dirette numerose rapine prima presso negozi di filatelia poi agenzie ippiche e banche, rapine che frutteranno una disponibilità economica assai superiore a quella necessaria alla vita dell’organizzazione e connotarono di un tratto di delinquenza ordinaria sia la condotta e il tenore di vita degli autori, sia l’ambiente criminale in cui gli stessi si muovevano. L’organizzazione e l’esecuzione di molti dei colpi avvicinò stabilmente – e per alcuni in modo irreversibile – i ragazzi dei NAR alla criminalità organizzata del gruppo che successivamente verrà indicato (sinteticamente e in parte impropriamente) come Banda della Magliana, attraverso lo stretto legame dei fratelli Fioravanti e di Alibrandi con personaggi come Massimo Sparti, e di Massimo Carminati e dello stesso Fioravanti con Franco Giuseppucci e Danilo Abbruciati. Tali legami verranno a cementarsi, oltre che con la pianificazione e attuazione di rapine (come presso le filatelie o alla Chase Manhattan Bank), attraverso le attività di reinvestimento dei proventi delle rapine (per lo più attraverso il prestito usuraio) che gli estremisti affideranno alla banda, per conto della quale eseguivano attività di intimidazione e di vero e proprio killeraggio.”
Interrogatorio di Walter Sordi del 15 ottobre 1982
“Alibrandi mi disse che Carminati era il pupillo di Abbruciati e Giuseppucci. Parlando in particolare degli investimenti di somme di denaro da noi fatti attraverso la banda Giuseppucci-Abbruciati, posso dire che nel corso dell’80, Alibrandi affidò alla banda stessa 20 milioni di lire, Bracci Claudio 10 milioni, Carminati 20 milioni, Stefano Bracci e Tiraboschi 5 milioni. Ricordo che Alibrandi percepiva un milione al mese di rendita. I soldi affidati alla banda Giuseppucci-Abbruciati erano tutti in contanti. Come ho già spiegato, Giuseppucci e Abbruciati prevalentemente investivano il denaro da noi ricevuto nel traffico di cocaina e nell’usura, ma c’erano anche altri investimenti nelle pietre preziose e nel gioco d’azzardo.” Pentiti della Banda della Magliana come Claudio Sicilia e Maurizio Abbatino, confessarono come la ” Banda” usasse i fascisti per lavori di manovalanza quali trasporto di droga come anche per esecuzioni su commissione, Carminati avrebbe ucciso con Alibrandi e Claudio Bracci il tabaccaio romano Teodoro Pugliese perchè intralciava il traffico di droga gestito da Giuseppucci, assassinio questo confermato anche dal pentito Walter Sordi.
L’episodio più eclatante e e più controverso è quello raccontato da alcuni pentiti dei Nar, Walter Sordi e Cristiano Fioravanti e della “Banda”, Antonio Mancini, secondo i quali alcuni appartenenti dei NAR effettuarono per conto della Banda l’assassinio, la sera del 20 marzo 1979 a Roma, del giornalista Mino Pecorelli, direttore del periodico Osservatorio Politico O.P., iscritto alla loggia massonica P2 e persona considerata vicina ai servizi segreti. Il pentito della Magliana, Antonio Mancini, nell’interrogatorio dell’11 marzo 1994, ebbe a dire”fu Massimo Carminati a sparare assieme ad Angiolino il biondo, Michelangelo La Barbera. Il delitto era servito alla Banda per favorire la crescita del gruppo, favorendo entrature negli ambienti giudiziari, finanziari romani, ossia negli ambienti che detenevano il potere.”
Nell’ottobre del 2003, la Corte di Cassazione annullò la sentenza di condanna pronunciata dalla Corte d’Assise d’Appello di Perugia, assolvendo “per non avere commesso il fatto” sia coloro considerati mandanti, Giulio Andreotti, Claudio Vitalone, Gaetano Badalamenti e Pippo Calò che gli esecutori materiali dell’omicidio, Carminati e La Barbera, considerando le testimonianze dei pentiti r non attendibili.
Il processo
Il 13 dicembre 1984 si aprì, nell’aula di corte di assise del carcere di Rebibbia di Roma, presieduta dal dottor Feliciangeli, il processo contro 57 persone accusate di militanza nei Nuclei Armati Rivoluzionari e che, tra il 1977 ed il 1981, si resero responsabili di una lunga serie di reati: associazione sovversiva, banda armata, omicidio e tentato omicidio, furto e rapine in armerie, negozi e istituti di credito, incendi dolosi, aggressioni e incursioni in sezioni di partito e negli studi di Radio Città Futura. Il processo istruito, dal pubblico ministero Francesco Nitto Palma, molto si basò sulle deposizioni del pentito Cristiano Fioravanti, che decise di pentirsi subito dopo il suo arresto.
Il 2 maggio del 1985 furono emesse 53 condanne per quasi quattro secoli complessivi di carcere: Giusva Fioravanti (22 anni e 8 mesi), Dario Pedretti (20 anni e 5 mesi) Luigi Aronica (18 anni e 2 mesi), Marco Di Vittorio (16 anni e 11 mesi), Livio Lai (13 anni e 4 mesi), Fabio Valencic (12 anni e 2 mesi), Gilberto Falcioni (12 anni e 9 mesi) Claudio Conti e Giuseppe Dimitri (12 anni) Francesca Mambro (11 anni e 7 mesi), Massimo Morsello e Andrea Pucci (9 anni e 11 mesi), a Nicola Frega (9 anni e 10 mesi), Mario Corsi (9 anni), Gabriele De Francisci (8 anni e 8 mesi) Paolo Pizzonia (8 anni e 6 mesi), Stefano Traboschi e Domenico Magnetta (8 anni e 2 mesi). Tutti gli altri imputati condannati ebbero pene variabili dagli 8 anni a un anno e sei mesi. In processi successivi, per i singoli omicidi, ai fascisti furono comminate diverse condanne alla pena dell’ergastolo.