L’Osservatorio:pubblichiamo la 2a parte delle nostre riflessioni sulla ancora ad oggi ipotetica manifestazione nazionale a Roma dei gruppi Ultras annunciata per il 6 giugno. Nel titolo parliamo di “voglia di Ucraina” perché è chiaro che gli ultras ucraini sono divenuti negli ultimi anni il modello di riferimento dei fascisti nostrani, prendendo il posto di Arkan e delle sue Tigri,ex ultras del F.C. Stella Rossa Belgrado,finiti assassinati e incriminati per i crimini commessi nel conflitto balcanico degli anni ’90. In Ucraina,diversamente gli hooligans nazionalisti hanno svolto un ruolo di punta nelle rivolte anti-governative,fino a diventare con il Battaglio Azov , l’elite nazista dell’esercito Ucraino in prima linea nell’epurazione anti-comunista, dai fatti di Piazza Maidan, alla Casa dei Sindacati di Odessa, alle stragi di civili nel Donbass.
Al di là della novità, comunque di non poco conto, evidenziata da Paolo Berizzi, si potrebbe dire che sono storie già note a molti. C’è però un dato che non può essere trascurato, e riguarda la tenuta sociale del nostro paese che tra non molto sarà ancora più pesantemente colpito dalla crisi economica aggravata dal covid-19 ed allora vale la pena porre in evidenza una storia di un po’ di anni fa avvenuta in un paese non troppo lontano da noi. Parliamo dell’Ucraina e parliamo del 2014.
In un articolo di Andrea Luchetta del 16 aprile 2014 si legge:
“Tutto comincia il 21 gennaio 2014, alla vigilia dell’entrata in vigore delle leggi speciali. La curva della Dynamo Kiev annuncia di voler costituire dei gruppi di autodifesa: «Invitiamo gli uomini abili a difendere gli attivisti dalle bande ingaggiate dal governo. Armatevi con scudi e bastoni, indossate il giubbotto antiproiettile e proteggete il resto del corpo. A stretto giro di posta, gli ultras di Dnipropetrovs’k annunciano il loro arrivo a Kiev per sostenere i contestatori accampati in piazza dell’Indipendenza. Da quel momento è un diluvio di adesioni, culminato in una tregua sottoscritta da 33 delle principali tifoserie del paese: «Crediamo esista un solo principio a cui attenerci – e cioè che siamo ucraini. (…) Continuare a combattere sarebbe un crimine contro il futuro radioso dell’Ucraina. Siamo compagni e fratelli, da Luhans’k ai Carpazi» L’adesione alle proteste è un riflesso spontaneo per un mondo abituato a vivere «contro», antiautoritario fino al midollo e avvezzo ai manganelli dei berkut, le squadre antisommossa della polizia. Un richiamo viscerale, irresistibile per l’identità di questi gruppi, più ancora della lingua madre o delle simpatie politiche. I primi nemici delle tifoserie diventano così i «titušky» (lumpenproletari ingaggiati per colpire le manifestazioni, ribattezzati «prostitušky» nei comunicati delle curve). Fra tifosi e «titušky» – che pure spesso condividono l’origine sociale – è in primo luogo una battaglia filosofica: «Mentre gli ultras di solito obbediscono a un codice di condotta rigoroso gli istigatori mandati dal governo appaiono molto meno inibiti quando si tratta di ricorrere alla violenza» Gli abusi dei «titušky», sempre più scatenati con l’incancrenirsi del conflitto, sono stati l’elemento decisivo per convincere le curve a scendere nelle strade. Identico disprezzo colpisce i gangster al potere: «Faremo di tutto per far cadere questo regime criminale», scrivevano gli ultras di Sebastopoli in perfetta sintonia con l’umore di un paese tanto diviso quanto esasperato dalla corruzione e dall’inefficacia delle politiche governative.”
E già si possono notare alcune similitudini nei toni e nei contenuti delle affermazioni eversive.
Ma, fatte salve le ovvie ed evidenti diversità tra l’Ucraina del 2014 e dell’Italia del 2020 non si può non notare un altro fatto inquietante che riguarda il battaglione AZOV e la sua genesi.
Da un articolo reperibile al link
https://it.insideover.com/schede/guerra/cose-il-battaglione-azov.html
“Il battaglione Azov è un reggimento della Guardia nazionale. Nato come milizia volontaria, nel maggio del 2014, il corpo combattente è stato in seguito inquadrato nei ranghi delle forze armate di Kiev. Il battaglione ha acquisito una dubbia notorietà a causa della militanza, al suo interno, di molti uomini, anche provenienti da Paesi stranieri, dall’ideologia politica di destra radicale. Il battaglione Azov è nato grazie all’attivismo di una fazione di ultras, chiamata Setta 82, della squadra Metalist Kharkiv. Nel corso della grave crisi politica ucraina, iniziata nel febbraio del 2014, gli uomini di questo gruppo occuparono le sedi istituzionali dell’oblast di Kharkiv per evitare che finissero sotto il controllo dei separatisti. Ben presto Setta82 si trasformò in una vera e propria fazione armata che prese il nome di Eastern Corps e che si radicò anche grazie al supporto delle autorità ucraine. Azov iniziò ad attrarre numerosi estremisti di destra, provenienti da tutta Europa ed è divenuto, nel tempo, lo schieramento di riferimento per quest’area politica.”
E se andiamo a vedere chi sono questi estremisti di destra scopriamo che:
dall’articolo di Matteo Luca Andriola: Il battaglione AZOV la legione nera del neofascismo ucraino

Fontana, alias Francois Xavier Fontaine, nome di battaglia ‘Stan’, è un noto militante della destra radicale apparso su vari quotidiani e periodici per la sua presenza in Ucraina nei giorni dell’Euromaidan, “definito ‘ufficiale’ di collegamento con gli squadristi italiani in diversi siti e blog. E ad addestrare le truppe di Kiev ci sarebbero contractor della Blackwater, e anche istruttori Cia”, come racconta Il Fatto Quotidiano. Fontana – vicino a Gabriele Adinolfi (tra i fondatori di Terza posizione e oggi uno degli intellettuali di riferimento di CasaPound) e a Stefano Delle Chiaie, fondatore di Avanguardia nazionale – negando una filiazione con i ‘fascisti del III millennio’, descrive a Fausto Biloslavo, inviato de Il Giornale con un passato nel Fronte della gioventu (l’organizzazione giovanile del Msi), la sua ‘romantica’ presenza in Ucraina nel reportage Gli uomini neri. L’ex missino ed ex avanguardista cinquantatreenne, chiamato ‘zio’ o ‘don’ dai camerati più giovani, si presenta al giornalista triestino in giubbotto antiproiettile, passamontagna nero sul volto, occhiali scuri e kalashnikov – confermando quello che molti sui camerati negavano mesi fa: non era lì solo come inviato di Adinolfi per Noreporter.org, sito d’informazione ‘non conforme’, ma anche come combattente – spiegando: “Sulle barricate di piazza Maidan mi sono ritrovato per caso affascinato da una rivoluzione di popolo. Nel momento del pericolo e scattata una molla. Come diciamo in Italia era finita la commedia. Non era più un gioco. Cosa dovevo fare tornarmene a casa e abbandonare i camerati delle barricate di Maidan?” Fontana passa all’azione e il 13 giugno 2014 partecipa alla battaglia di Mariupol, la città costiera sul mare di Azov conquistata dai miliziani filorussi, dove il battaglione nero ha ucciso una ventina di civili: “Siamo andati avanti noi. Abbiamo preso una contraerea piazzandola ad alzo zero e polverizzato le barricate dei filo russi”.
L’Osservatorio: in campo opposto,filo-russo ma sempre proveniente dalle fila Ultras :
Il capo della curva della Lucchese finisce nei guai con la giustizia di Roberta Zunini 11 ottobre 2017

Per il latitante Andrea Palmeri, 38 anni, di Lucca, orgogliosamente neofascista e notissimo capo ultrà della Lucchese, la strada da percorrere non è stata breve né semplice dalla curva dello stadio toscano a quello dello Shakhtar Donetsk. Sul suo profilo aperto di Facebook si mostra a torso nudo tatuato con croci celtiche o mentre imbraccia un mitragliatore spiegando quanto sia necessario combattere non solo contro gli Stati Uniti, ma anche contro «la deriva dei costumi» (si è convertito al cristianesimo ortodosso russo) che ha reso possibile ad esempio i matrimoni gay e il recupero in mare dei migranti. Ciò che Palmeri non ama sottolineare è che ha deciso di andare in una delle zone più contese e violente della storia recente per sfuggire alla giustizia italiana che allora lo aveva condannato in primo grado per associazione a delinquere, con l’obbligo di dimora fino al processo d’appello. Nel 2016 la Corte d’Appello di Firenze lo ha condannato – in contumacia – a due anni e otto mesi di carcere dopo aver usufruito in primo grado del rito abbreviato e quindi di uno sconto di un terzo della pena. Il “Generalissimo”, come viene chiamato dai suoi sodali ultras della Lucchese, era già finito in cella in passato sempre a causa della sua condotta violenta nei confronti di simpatizzanti di sinistra e tifosi di altre squadre. I giudici di Firenze, pur riducendogli di un anno la pena richiesta, lo hanno condannato per “associazione a delinquere, lesioni aggravate, porto abusivo di coltello e minaccia aggravata”.

Dopo aver lasciato indisturbato la propria città, contravvenendo all’obbligo di firma, e aver raggiunto il Donbass, via Russia, per prendere le armi, Palmeri ha fondato una onlus che dichiara di avere la missione di raccogliere fondi a favore della popolazione impoverita dal conflitto. Ad “aiutarlo ad aiutare” può contare sull’energia di Irina Osipova, pasionaria dei giovani italo-russi che lo scorso anno (si parla del 2013) fu candidata alle comunali di Roma nella lista di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Sui social gira una foto della giovane studentessa moscovita con indosso una maglietta nera, con la scritta “Defend Italia” e l’immagine di un kalashnikov, mentre abbraccia un allegro Palmeri. Osipova però è stata a lungo anche vicina alla Lega Nord di Salvini, che accompagnò nel suo primo viaggio in Russia e collabora con l’associazione Lombardia-Russia diretta dal giornalista Gian Luca Savoini, responsabile per il Carroccio dei rapporti con Mosca già dai tempi di Umberto Bossi.

In conclusione, senza voler creare allarmismi ma consapevoli anche delle forti sinergie tra fascisti ucraini e italiani, su questa nuova aggregazione che si va formando bisognerà tenere gli occhi aperti e creare informazione da qui al 6 giugno.